POESIE PER GAZA
L’idea di una testimonianza poetica sui tragici avvenimenti del genocidio di Gaza mi è stata suggerita da Maurizio Casagrande. In realtà di iniziative del genere se ne trovano parecchie in giro. Ricordo quella di Annamaria Ferramosca e soprattutto il bellissimo libro Il loro grido è la mia voce, poesie per Gaza.
Recentissimo, poi, un suggestivo progetto di traduzione poetica curato da Maurizio Montipo Spagnoli e grazie a DEMOSPAZ, Istituto per i Diritti Umani, la Democrazia, la Cultura di Pace e della Non Violenza dell'Università Autonoma di Madrid (UAM), il cui intervento ha permesso che la poesia Se dovessi morire, del poeta palestinese Refaat Alareer venisse tradotta in moltissime lingue e dialetti del mondo.
Fra le tantissime, quella di Maurizio Casagrande; la mia, in un idioletto del siracusano, e quella di Massimiliano Magnano nel dialetto di Sortino, la mia città natale. I testi si possono ascoltare su Spotify.
La ritrosia, covata in questi lunghi e lugubri anni di guerra, nell’utilizzare la poesia per testimoniare una tragedia del genere, veniva dal timore di una ingiustificata visibilità della persona, del rischio di un mostrarsi “impegnati” facendosi scudo del corpo dei bambini uccisi. Credo, tuttavia, che la rabbia e la frustrazione si siano gonfiate a tal punto che la parola della poesia ha finito per riappropriarsi del suo naturale ruolo di mezzo e tramite dell’intera comunità. La parola, insomma, non riesce a tacere, non può ridursi a mera comunicazione con gli angeli.
Ho provato, in questi anni, a preservare il rispetto per le voci silenziose - per scelta o per desiderio di silenzio - ma non ho sopportato l’idea, a volte apertamente dichiarata, di una neutralità, di un tirarsi fuori dallo strazio. Non ho sopportato i redering, i pranzi poetici, i discorsi, mentre per le strade di quella terra martoriata la gente veniva calpestata nel corpo e nell’anima. La poesia certamente non cambia il mondo, non lo ha mai cambiato, ma lo testimonia. Deve testimoniarlo. Se il poeta non si fa uomo, è meglio che la sua parola muoia. Molti poeti, oggi, si trincerano dietro la parnassiana idea di una poesia avulsa, magari lontanamente soffusa di terra sanguinante...ma sempre lontanamente. L’importante è che il grido sia attutito e che la voce non si alzi troppo. Alla poesia io chiedo di essere scandalosamente vera, di essere la casa in cui il poeta e l’uomo siano la stessa cosa. Meglio un nobile uomo cattivo poeta che un sommo poeta uomo da niente. Utopia? Certamente. Ma a volte succede.
I testi qui presentati sono stati inviati appositamente per questo piccolo progetto. A volte si tratta di inediti, altre volte stralci di raccolte già pubblicate. Ringrazio tutti coloro che hanno voluto partecipare e in particolare Maurizio Casagrande per il prezioso ruolo di tramite.
Fra le tantissime, quella di Maurizio Casagrande; la mia, in un idioletto del siracusano, e quella di Massimiliano Magnano nel dialetto di Sortino, la mia città natale. I testi si possono ascoltare su Spotify.
La ritrosia, covata in questi lunghi e lugubri anni di guerra, nell’utilizzare la poesia per testimoniare una tragedia del genere, veniva dal timore di una ingiustificata visibilità della persona, del rischio di un mostrarsi “impegnati” facendosi scudo del corpo dei bambini uccisi. Credo, tuttavia, che la rabbia e la frustrazione si siano gonfiate a tal punto che la parola della poesia ha finito per riappropriarsi del suo naturale ruolo di mezzo e tramite dell’intera comunità. La parola, insomma, non riesce a tacere, non può ridursi a mera comunicazione con gli angeli.
Ho provato, in questi anni, a preservare il rispetto per le voci silenziose - per scelta o per desiderio di silenzio - ma non ho sopportato l’idea, a volte apertamente dichiarata, di una neutralità, di un tirarsi fuori dallo strazio. Non ho sopportato i redering, i pranzi poetici, i discorsi, mentre per le strade di quella terra martoriata la gente veniva calpestata nel corpo e nell’anima. La poesia certamente non cambia il mondo, non lo ha mai cambiato, ma lo testimonia. Deve testimoniarlo. Se il poeta non si fa uomo, è meglio che la sua parola muoia. Molti poeti, oggi, si trincerano dietro la parnassiana idea di una poesia avulsa, magari lontanamente soffusa di terra sanguinante...ma sempre lontanamente. L’importante è che il grido sia attutito e che la voce non si alzi troppo. Alla poesia io chiedo di essere scandalosamente vera, di essere la casa in cui il poeta e l’uomo siano la stessa cosa. Meglio un nobile uomo cattivo poeta che un sommo poeta uomo da niente. Utopia? Certamente. Ma a volte succede.
I testi qui presentati sono stati inviati appositamente per questo piccolo progetto. A volte si tratta di inediti, altre volte stralci di raccolte già pubblicate. Ringrazio tutti coloro che hanno voluto partecipare e in particolare Maurizio Casagrande per il prezioso ruolo di tramite.

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