Francesco Gabellini, La pianta del buio, RP, 2025

Francesco Gabellini, La pianta del buio, RP, 2025




  Non conosco la produzione in dialetto di Francesco Gabellini. Gianfranco Lauretano, nella post fazione, si chiede “cosa sia successo” che giustifichi questo passaggio alla lingua italiana, anche perché annota, “la poesia gabelliana in dialetto aveva ottenuto ottimi risultati e si era ricavato un suo spazio originale, interno ed equidistante dai due fulcri fondamentali della generazione precedente dei grandi autori della sua terra”.
  Mi sembra di capire che in questo discorso, più di ogni altra cosa, valga la parola “terra”, e cioè l’appartenenza a una stratificazione di parole che qui si palesa nell’evocazione di fatti e persone, e soprattutto nell’abitare una natura ancora resistente alle lusinghe della modernità.
  Lo sfondo del libro, insomma, fa apparire i contorni della terra antica dove le parole, perdute e affossate, sono ancora disponibili all’incontro.
  Lauretano evidenzia ancora come il racconto di questa terra che, soprattutto nei dialetti, è di natura sensoriale, qui avvenga attraverso la facoltà di un vedere fino a un vedere oltre. Lo sguardo non ne canta l’afflato nostalgico ma ne fa il racconto fino al momento in cui sembra evocare delle cose un loro spazio interno, più misterioso e intimo. Così vediamo, ad esempio, “gli assalti della nebbia / quando monta su dal mare (…) Indugia un istante sulle cose / come il boia, poi le ingoia”, (Sipario). Vediamo “la bellezza del vuoto (…) del vuoto lasciato / da questo giardino che abbiamo amato”, (Vedere la bellezza del vuoto). Vediamo “l’istante, così leggero / innalzarsi nella luce, con il seme / senza peso dei pioppi, giù al fiume”, (Tre movimenti per morsa e bavagli). L’oggetto viene illuminato come in trasparenza mostrandone l’aura, la fragilità.
 Certamente questo è possibile senza perdere d’occhio la dimensione fotografica del paesaggio, la sua connotazione profondamente antropologica. Molte le figure e i fatti evocati: “Giorgino, amico morto a quattordici anni / sul Gitan di tuo padre, col Motobi io / di mia madre sottratti ai loro tempi / morti anch’essi, si andava / verso il mare, un blu infinito”, (In presenza).
  Leggiamo la nominazione degli oggetti, l’evocazione delle figure, ma la scena evoca anche qualcosa che non c’è più, che sopravvive solo attraverso il nome. Si tratta dunque della doppia valenza dell’essere e del non essere più, o essere in altra forma - “Della rondine è rimasto il calco” - o anche il modo di essere diversi in una parola distante dalla mondanità; “Fino a che affiora in modo naturale / il desiderio di dire una parola, / lo stretto veramente necessario”, (Controcanto).
  L’essere a volte non è ma appare “Ti inventano i miei occhi / nel cercarti, ti faccio apparire / in fondo al viale ombroso / di foglie che io ho colorato”, (Ritratto di donna con cane); una netta indicazione della forza evocativa e immaginativa della poesia.
  Eppure Gabellini non è affatto un poeta metafisico. I suoi ricordi contengono e preservano le storie del territorio, i fatti, le persone, l’accadere della Storia di periferia. La dimensione dell’apparire si coglie solo a una seconda lettura perché rimane del libro la sensazione di una concretissima resa del reale di cui si presagisce il rischio della perdita ma sempre nella certezza di ciò che è stato qui, vivo e in attesa. Incancellabile.


Altri crolli


Mettete una mano sugli occhi dei vostri figli
quando passerete davanti alle case crollate,
come un piccolo gesto di serena pietà.

Le pareti interne delle più intime stanze
sono diventate spudoratamente esterne,
come radiografie di un vivere ormai spento, qui
si legge ogni geometria imperfetta dell’amore.

Ali di folaghe e poi voli
di altri uccelli migratori che hanno perso le rotte
accarezzano leggeri quelle tempere scrostate.

I muri trasudano ancora confessioni
indicibili, ferite dei segni
dove erano i quadri, fotografie ricordo
senza più memoria.

Non mostrate loro questi fantasmi,
le trame interne dei tessuti
di queste nostre vite antiche e oscene.

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